A FRANCO MAESTRIPIERI (IN MEMORIAM)
 

 

   

 

Ac ne forte roges quo me duce, quo Lare tuter;
nullius addictus iurare in uerba magistri,
quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes.
       

A destra l'amico scomparso, a sinistra l'autore del sito; entrambi in una foto molto datata (1980 circa).
    E' difficile trovare parole per ricordare qualcuno; se poi questo <<qualcuno> ha condiviso con noi un significativo tratto di vita, descriverne la personalità risulta impossibile senza essere tirati da sentimenti ancora vivi, da ricordi e da passioni che già furono comuni, mentre con le parole si pretende peraltro di generare l'idea dell'immortalità di un nome e con quel nome ci si fonde per dare un senso, in fondo, anche a un momento della nostra vita.
In questo caso poi, a frenare le parole esiste la profonda convinzione che l'amico si sarebbe infastidito non poco a vedere il suo nome in internet, mezzo che non amava particolarmente, fautore com'era delle idee espresse sulla carta attraverso la stilografica, e questo non già per rifiuto del nuovo: il suo detestare il web, derivava dalla funzione critica che aveva nei confronti del mezzo, la certezza, più che la paura, che si perdesse la buona scienza antica, il timore di essere controllati, come in effetti avviene con gli squallidi social network, di essere violati nella propria intimità, quell'intimità di cui era gelosissimo custode.
Per quanto non creda a definizioni del tipo <<l'ultimo degli umanisti>>, <<l'ultimo dei liberi pensatori>>, ecc. devo tuttavia ammettere che l'uomo che ho conosciuto è stato davvero uno degli ultimi umanisti e liberi e trasgressivi pensatori che abbia conosciuto, una persona dai molteplici interessi, in cui si mischiava positivamente tutto, dalla musica, alla letteratura, alla poesia, alla pittura, all'architettura, all'amore per i viaggi e, non ultimo, l'amore per i motori e le automobili d'epoca. Il suo carattere spigoloso era solo apparentemente spigoloso, serviva a scremare immediatamente e provocatoriamente le conoscenze occasionali, a scrutare se esse fossero davvero degne della sua frequentazione o meno. Sempre pronto alla battuta di spirito ed all'umorismo comìè proprio d'ogni spirito autenticamente toscano, sapeva trovare in questo una delle chiavi di volta della vita, prendendola per quello che è, un gioco maleddatamente serio ma sempre un gioco, toccando così, nella capacità di saper giocare, le più alte realizzazioni dell'esistenza.
Non ha lasciato opere che lo ricordassero (quelle poche composte in gioventù sono andate smarrite), ma ha lasciato l'esempio, opera ben difficile da costruire e che richiede molta arte: ma neanche Socrate, non sia irriverente il paragone, dopo tutto ci ha lasciato scritti, o almeno non sono giunti. Più che la sua personalità, il suo modo di porsi dinanzi al mondo, potrebbe efficacemente essere descrittto con le parole che F. Busoni in fine di una sua opera (l'Arlecchino) pone sulla bocca del protagonista che, in una sorta di finis vitae, trae così la morale della storia rappresentata:
       
Un giorno di piogga     Chi vince? Chi soccombe?
Uno squillo rompe il mattino cupo e grigio,
    E chi fa valere la sua giusta causa alla fine?
nel microfono il vuoto rotto dal pianto
    Chi fidando solo su se stesso,
un viaggio, nella memoria solo la strada,
    seguendo i suggerimenti del cuore e con attento discernimento sceglie la giusta via;
un camminare silenzioso inspiegato nello scuro.
    chi s'accontenta d'essere se stesso;
La luce, le persone, la disperazione
    chi conserva sempre e comunque l'integrità
la morte, la morte di un uomo
    e non s'inchina a nessuno,
di un padre, di un caro amico
    come io ho potuto dimostrare.
in un giorno di pioggia.     Miei signori, buona notte!
Jacopo d'Agostino
   
Così pensato in Todi, il 12 luglio 2004, a qualche mese dal suo abbandono.